ANAC solleva la questione "equo compenso" sugli appalti pubblici

ANAC solleva la questione “equo compenso” sugli appalti pubblici

L’Autorità Nazionale Anticorruzione ha invitato la Cabina di Regia a chiarire la questione dell’equo compenso nell’ambito dei contratti pubblici, richiamando le recenti disposizioni: il Codice (d.lgs. n. 36/2023) e le “Disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali” (legge n. 49/2023).

La missiva di ANAC

“La questione è rilevante e necessita di tempestiva soluzione” ha messo nero su bianco l’Autorità nel testo di una missiva inviata alla Cabina di Regia, al Ministro dell’Economia e al Ministro delle Infrastrutture, evidenziando l’urgenza di un intervento ermeneutico o normativo, da parte delle Istituzioni, per consentire la corretta e uniforme applicazione della normativa di riferimento, sottolineando che in mancanza di riscontro Anac procederà aderendo alle opzioni  ritenute più adeguate.

Requisiti per la partecipazione alle gare

Per ciò che afferisce ai requisiti speciali per la partecipazione alle gare, l’Autorità Anticorruzione ha ribadito l’esistenza di un vuoto normativo superabile soltanto tramite un intervento normativo e, al contempo, l’Autorità ha ritenuto opportuno invitare le stazioni appaltanti ad adottare condotte preordinate “a favorire la massima partecipazione e a scongiurare l’adozione di comportamenti discriminatori”.

Nella prospettiva del favor partecipationis, ANAC ha ritenuto opportuno “far riferimento, nell’individuazione dei requisiti di partecipazione, alle indicazioni fornite nelle Linee guida n. 1 e al dettato del codice, in base a cui “le stazioni appaltanti e gli enti concedenti possono introdurre requisiti speciali, di carattere economico-finanziario e tecnico-professionale, attinenti e proporzionati all’oggetto del contratto, tenendo presente l’interesse pubblico al più ampio numero di potenziali concorrenti e favorendo, purché sia compatibile con le prestazioni da acquisire e con l’esigenza di realizzare economie di scala funzionali alla riduzione della spesa pubblica, l’accesso al mercato e la possibilità di crescita delle micro, piccole e medie imprese.”

Equo compenso

Secondo ANAC i due ambiti normativi, cioè il nuovo codice dei contratti pubblici e la legge n. 49/2023 devono essere “adeguatamente coordinati tra loro”, accedendo a una soluzione interpretativa che eviti l’insorgere di contrasti.

Nel definire il rapporto esistente tra i due sistemi normativi, Anac considera che la Legge n. 49/2023, nonostante risulti cronologicamente successiva al Codice, non ha derogato in modo espresso allo stesso, ai sensi del relativo art. 227, e per l’effetto la medesima si applica ai contratti pubblici nell’ambito della relativa disciplina.

E’ stato osservato che l’art. 3, comma 3, della Legge n. 49/2023, stabilisce che “non sono nulle le clausole che riproducono disposizioni di legge ovvero che riproducono disposizioni o attuano principi europei”.

“Occorre inoltre evidenziare che anche il codice dei contratti pubblici già persegue la finalità sottesa alla legge n. 49/2023 – continua Anac nella missiva -, pur dovendo naturalmente orientarsi nel rispetto del diritto europeo e dei principi generali in esso declinati, oltre che con modalità adeguate al meccanismo della gara pubblica. È prevista l’applicazione di specifici meccanismi volti a scongiurare la presentazione di offerte eccessivamente basse e, quindi, non sostenibili (la disciplina sull’anomalia dell’offerta, la possibilità di prevedere un’appropriata ponderazione tra punteggio qualitativo ed economico, la possibilità di utilizzare formule per il punteggio economico che disincentivino eccessivi ribassi)”.

“Così interpretato, il quadro normativo di riferimento appare coerente sia a livello nazionale che a livello europeo. Sotto quest’ultimo profilo occorre considerare che l’articolo 3, comma 3, della Legge n. 49/2023 fa salve dalla sanzione della nullità le clausole che prevedono l’applicazione di compensi inferiori ai minimi tabellari in quanto riproduttive di disposizioni di legge (tra cui rientrano le disposizioni comunitarie e nazionali in materia di contratti pubblici) o attuative di principi europei (tra cui il principio di concorrenza)”.

Equo compenso e diritto UE

L’Autorità ha altresì sottolineato che la previsione di tariffe minime non soggette a ribasso rischia di collidere col diritto euro-unitario, il quale impone di tutelare la concorrenza.

Come chiarito dalla Corte di Giustizia (sentenza del 4/7/2019, Causa C-377/2017) in materia di compensi professionali l’indicazione delle tariffe minime e massime è vietata poiché incompatibile col diritto UE, ma sono in ogni caso ammesse deroghe per motivi di interesse pubblico, quali la tutela dei consumatori, la qualità dei servizi e la trasparenza dei prezzi, posizione confermata da una successiva pronuncia (25/1/2024, Causa C-438/2022) a tenore della quale le tariffe minime relative al  compenso professionale degli avvocati devono essere disapplicate poiché contrastanti col principio di concorrenza.

Equo compenso per avvocati e non ingegneri e architetti

Al contempo Anac ha evidenziato che la legge n. 49/2023 risulta applicabile ai rapporti professionali che hanno per oggetto prestazioni d’opera intellettuale di cui all’art. 2230 Codice civile (contratto d’opera caratterizzato dall’elemento personale nell’ambito di un lavoro autonomo) e più in generale tutti quei rapporti contrattuali caratterizzati dalla posizione dominante del committente, in cui è necessario ripristinare l’equilibrio sinallagmatico.

I contratti pubblici aventi ad oggetto la prestazione di servizi di ingegneria e architettura, invece, sono normalmente riconducibili ai contratti di appalto ex articolo 1655 del Codice civile, con cui una parte assume l’organizzazione dei mezzi necessari e la gestione a proprio rischio.

La concorrenza sul prezzo

“Nel merito si ritiene utile considerare che la concorrenza sul prezzo, in ogni sua componente, rappresenta un elemento essenziale per il corretto dispiegarsi delle dinamiche concorrenziali delle gare pubbliche e che l’eventuale limitazione alle sole spese generali o all’elemento qualitativo rischierebbe di introdurre di fatto una barriera all’ingresso per gli operatori, più giovani, meno strutturati e di minore esperienza.

Sotto il profilo della spesa pubblica, l’Autorità ritiene ulteriormente necessario mettere in evidenza che, ai sensi dell’articolo 13 della Legge n. 49/2023, dall’attuazione della stessa legge “non devono derivare, nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”, circostanza che, invece, si realizzerebbe in caso di gare a prezzo fisso. L’opzione individuata consente di mantenere il quadro economico finanziario della programmazione che è già stata fatta per gli investimenti del Pnrr, quadro economico -finanziario che invece rischierebbe di essere compromesso, con evidenti ricadute sui tempi di attuazione ed aumento del contenzioso, in caso di valutazioni diverse. Considerazioni analoghe possono essere effettuate anche per gli investimenti non legati al Pnrr”.

Controversie sugli affidamenti

Anac ha concluso il testo rilevando che l’operatività dell’articolo 3, comma 5, della legge n. 49/2023, che consente il ricorso al giudice civile per contestare l’affidamento ad un prezzo inferiore rispetto a quello definito in ossequio all’allegato I.13 del d. lgs 36/2023, oltre a determinare una sovrapposizione con i poteri e le competenze delle stazioni appaltanti in termini di verifica della congruità delle offerte, produrrebbe una situazione di assoluta instabilità e incertezza sull’affidamento e sulle relative condizioni, con evidenti ripercussioni sulla spesa pubblica.

E’ stato infatti osservato che l’esito positivo del giudizio ordinario comporterebbe la necessaria modifica del quadro economico finanziario dell’intervento, con conseguenti ricadute pure sulla capacità di spesa futura, che, per la stessa Autorità, appaiono tanto più evidenti per gli interventi finanziati con i fondi del Pnrr.